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Terra di remota felicità

Gallipoli è terra di remota felicità in cui miti, leggende, mare, palazzotti, chiese, corti e verande fiorite, sono frutto di un secolare collettivo immaginario, calcinato sui fondi di carparo arsi dall’umido caldo sciroccale.

Occorre allora cogliere la gente, il clima, la luce, i colori ed i sapori; riassumere, insomma, il ritratto al tempo stesso fedele e deformato, autentico e personalissimo, di una città vista e letta con una sensibilità moderna, eppure carica di nostalgia nel rapporto fra l’uomo ed il fascino della memoria del tempo, percependo espressioni, incanti e segnali che definiscono la magia del luogo: Gallipoli.

Occore anche raccontare, non solo attraverso le immagini, una città che il corso del tempo ha gelosamente custodito e rivivere il suo antico fascino che sopravvive, pur nelle inevitabili trasformazioni, riviisitato nei suoi vari aspetti.

Il mito ha segnato qui i contorni di una bellezza vaporosa, insegna parlante di una nobiltà mai sfiorita né rinnegata, neppure di fronte alla necessità dell’ampliamento della città oltre il secentesco ponte lapideo.

Custodita nel grembo della cinta bastionata che, né gli assedi di crudeli pirati, né le minacce di truci armate han potuto mai scalfire, resta ancora esempio famoso di storica resistenza, di fedeltà provata, di vigilanza ardita, esibita con orgoglioso ardore nell’insegna coronata del gallo sacro, dai "tendini dismagliati", pronto ancora a lanciare il suo grido mattutino contro quanti tentino di turbare il fascinoso equilibrio del suo singolare sito o di increspare l’incanto seducente del suo ceruleo mare e delle sue vie anguste e tortuose, ancora percorse dai passi cadenzati della laboriosa gente isolana.

Qui tutto sembra ancora mutare con lentezza, ma il vissuto assume spessore inquieto nelle pieghe di un sentimento d’amore per la città fino alla gelosia.

E’ il retaggio antico dell’ellenismo natìo le cui orme tenaci il gallipolino s’ostina a riconoscere ancora, contro ogni logica, nelle pietre di un fonte antico, gorgogliante gli amori perversi e tragici di vergini amanti scolpite nel sasso.

Il mare che cinge la città e la luce calda del sole che penetra discreta nella tortuosità dei suoi vicoli e nell’intimità dei suoi cortili, sono la spiegazione storica, forse fondamentale, della sorte arrisa a quest’isola felicee ricercata dagli uomini, che si lasciano, perciò, teneramente governare dalla definita successione delle albe radiose e dei tramonti infuocati, delle feste comandate e delle devozioni particolari, in una sorta di calendario comportamentale collettivo stratificato in secoli di partecipata tradizione e di storia esaltante.

Come raccontare, allora, questa città e questi luoghi incantati, se non col retaggio della sua storia, con la forza primitiva della sua natura, con lo splendore della sua arte, con la partecipata accoglienza della sua gente, di cui gli stemmati portoni barocchi e le fiorite logge sospese sulle corti, che s’aprono ombrose negli scorci di luce tagliente dei vicoli angusti, son palpiti lievi di vita, cadenzati dal ritmo seducente di un passato che s’invera nella quotidianità del presente.

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