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I Palazzi

I palazzi di Gallipoli vanno intesi innanzitutto nelle loro reali ragioni estetiche, storiche e strutturali.

Il Gallipolino visse i periodi più tormentati della sua storia in una sostanziale concordia sociale, nella riconosciuta distinzione dei ruoli, in un contesto urbano fortificato di cui, le emergenze architettoniche di più ampia valenza strutturale, strategicamente collocate, volevano sottolineare una necessaria quanto opportuna gerarchia di funzioni e di poteri, strumentale ad una più efficace difesa della città e salvaguardia dei suoi cittadini.

Talché i più rimarchevoli esempi di edilizia palazziata di Gallipoli, ancorché risultato di successive demolizioni e conseguenti ampliamenti, risultano efficacemente inseriti in quel contesto che in definitiva li ha pure condizionati. Essi furono il risultato di ricercata saturazione di spazi diversi, con masse nitide e grandiose, solenni più che fastose, quasi simbolo di una licenza privatamente certamente goduta e pubblicamente solo parzialmente ostentata.

Solo parte della nobiltà, a metà settecento, quella non svilita ancora in modestissimi traffici di mercatura, al fine di contrastare le insidie della sopravanzante borghesia, commissionò esempi significativi di architettura civile nobiliare, vibrante una particolare magnificenza barocca resa mercé il delicato intaglio a vista del carparo locale, che è una granulosa e bionda pietra tufigna dalla resa decorativa attenuante i ritmi e le tensioni parossistiche del barocco cosidetto leccese. E’ che lì l’architettura, intesa in funzione dello scorcio, consente una qualche visiva suggestione, sottolineata dal ricco fantasioso intaglio della morbida pietra leccese, mentre qui, per l’angustia degli spazi, la linguistica delle masse e dei decori occorre che si rivolga all’interno dello stretto diaframma stradale, in modo che, per godere di tutta la sua gaiezza, il visitatore è costretto a rimanere suo malgrado col naso all’insù.

Le schede illustrative

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